domenica 23 dicembre 2012

Ritratto 2 e altri deliri


"La foto-ritratto è un campo chiuso di forze. Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all'obbiettivo  io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte. In altre parole, azione bizzarra: io non smetto di imitarmi, ed è per questo che ogniqualvolta mi lascio fotografare, io sono immancabilmente sfiorato da una sensazione d’inautenticità, talora d’impostura. Immaginariamente, la Fotografia rappresenta quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero, non sono né un oggetto né un soggetto, ma piuttosto un soggetto che diventa oggetto: in quel momento io vivo una micro-esperienza della morte: io divento veramente spettro."

Il testo che precede è un brano tratto integralmente da "la Camera chiara" di Roland Barthes, un saggio del 1980,scritto e pubblicato poco prima della morte dell'autore. I contenuti possono apparire in certi casi di difficile lettura e non facile interpretazione, come ad esempio l'accenno alla micro-esperienza della morte prima riportata, che non è riferita alla persona (soggetto) ma all'immagine in quanto "imbalsamazione" dello stesso che da soggetto diventa oggetto; la stessa persona ritratta "perde" il controllo della propria immagine la quale da una parte diventa proprietà artistica del fotografo (per legge!) e dall'altra verrà vista ed interpretata con occhi e sentimenti diversi dal pubblico sul quale non si avrà più possibilità di controllo e di replica.

Però l'importanza di questo testo, sta nell'analisi quasi autobiografica del rapporto con la fotografia. Il riconoscimento che all'intero di alcune immagini, qualcosa tocca le corde delle nostre emozioni senza un motivo apparente, ma che attiene alla sfera emozionale di ognuno di noi. Barthes, semiologo, intraprende un viaggio attraverso le immagini che nel corso della sua vita gli hanno procurato particolari emozioni per capire il perché questo avvenisse solo per alcune e non per altre e magari apparentemente meno pretestuose di altre, anche contenute all'interno del medesimo reportage.

Le conclusioni non sono più importanti del percorso effettuato per raggiungerle. Molte delle considerazioni contenute nel testo hanno contribuito a modificare nel tempo il mio modo di vedere (in senso letterale) e di fotografare le cose, e mi hanno spinto a cercare di dare un senso al lavoro che facevo e faccio, il più delle volte portandomi a non fotografare per nulla, piuttosto che fotografare il nulla.

Quello che spesso invece succede alla "fotografia" che perpetua modelli ed immagini sempre uguali e prive in se dell'emozione di chi scatta è ben espresso in "Rumore Bianco"(1985) di Don De Lillo; queste sono le considerazioni di fronte ai turisti che fotografano tutti in fila un monumento:
"trovarsi qui è una sorta di resa spirituale. Vediamo solamente quello che vedono gli altri. Le migliaia di persone che sono state qui in passato, quelle che verranno  in futuro. Abbiamo acconsentito a partecipare ad una percezione collettiva. Ciò da letteralmente colore alla nostra visione. Un'esperienza religiosa, in un certo senso, come ogni forma di turismo! -seguì un ulteriore silenzio- Fotografano il fotografare!"
 La mia interpretazione di questo passaggio è assolutamente tendenziosa e funzionale a ribadire ciò che dico dalle prime pagine di questo blog, anche se a volte in maniera confusa,senza un filo logico preciso... Siamo condizionati da un sovraccarico di immagini, le quali da una parte formano la nostra cultura, dall'altro sono talmente tante, che le prendiamo senza senso critico, e non sapendo più distinguere ci appoggiamo al sentimento comune, fotografando ciò che hanno già fatto o ci propongono altri i quali hanno provato l'esperienza del consenso positivo su qualche soggetto.
Sono anni che vedo foto di donne in lingerie o anche nude in cantieri edili o edifici fatiscenti.... faccio l'architetto, frequento quotidianamente cantieri ed edifici fatiscenti, ma di quell'immagine che comunemente passa, non ho mai trovato traccia nella realtà quotidiana. Speriamo che la crisi dell'edilizia non metta in crisi anche l'immaginario erotico collettivo!





mercoledì 19 dicembre 2012

La magia del ritratto


E nel ritratto dov'è l'arte? non si farebbe meglio a parlare di artigianato? comunque il sapiente posizionamento delle luci, i consigli sulla posa, l'individuazione dell'angolo migliore per valorizzare il volto sono tutte procedure standardizzabili e ripetibili, quindi artigianali per definizione, con qualche licenza interpretativa da parte del fotografo.
E il  make up? il più delle volte il risultato è sbalorditivo... quindi di chi è il merito del risultato? Ma poi lo stesso soggetto fotografato da diversi fotografi come in un workshop o modelsharing, dà risultati a volte opposti! è quindi? dopo il make up si compie un altro atto creativo che per altro è indipendente dalla modella che nel caso citato è sempre la stessa. Certo dobbiamo parlare di fotografi con capacità tecniche paragonabili, ma di diversa personalità.
Probabilmente osserveremo opere compiutamente artistiche ed indifferentemente apprezzabili, ma comunque diverse.
Premettendo che il ritratto è in assoluto il mio genere preferito, vorrei mettere in campo la mia semplicistica e limitata visione della cosa. Tornando ancora una volta ai post precedenti. Il fotografo mette su carta la propria emozione, quella che prova sul set o al momento dello scatto! resta da capire come la cosa si esplicita nel ritratto, dove spesso la composizione è forzata da canoni poco alterabili.
Credo che questa sia una cosa impossibile da spiegare. Bisogna provarla sulla propria pelle ed è un'emozione forte che nasce all'improvviso, a volte non arriva, ma quando si impara ad evocarla non si può smettere di "fare i ritratti". Nasce da una sorta di empatia con il soggetto con il quale si comincia a comunicare con il pensiero; il fotografo scruta attraverso l'obbiettivo in una spietata analisi di ogni minima contrazione muscolare che può ad ogni istante generare un'espressione fantastica... il soggetto si muove come ipnotizzato dal vetro frontale e dai lampi dei flash. La tensione sale e a volte si arriva a fare 7, 8 scatti consecutivi fantastici dove il risultato è la sintesi della condizione emozionale di entrambi. Poi ci si ferma, un controllo agli scatti (ora che si può), due parole cambio scena e si ricomincia con un'altra serie. Ad un certo punto sopravviene quasi una spossatezza emotiva. è il momento di smettere ma l'adrenalina rimarrà alta per qualche ora , fino alla voglia di trovare un altro soggetto, un po' come una droga!

Peter Lindberg (da Facebook fotograficamente)

Questo è abbastanza personale... non tutti manifestano gli stessi interessi, alcuni mettono la propria emozione nella macro, nei fiori e negli insetti, altri nel paesaggio; il risultato è sempre lo stesso, l'archiviazione di un'emozione. Io amo i ritratti, non sempre trovo i soggetti, a volte non scatta la scintilla... ma se sono trent'anni che fotografo è grazie a quello che mi hanno restituito quei pochi ritratti, concordati o rubati, che  ho portato a casa nella mia esperienza.
Parlando con alcune modelle un po' più esperte, si è convenuto che la sensazione è la stessa anche dall'altra parte; che esiste una sorta di soggezione emotiva provocata dall'obbiettivo, che una volta che si è presa la dovuta confidenza diventa irrinunciabile. Ogni lavoro è una sfida con se stessi, nasce un'ansia da prestazione che come in un videogioco, rende questa "pratica" assolutamente addictive!
che tutto questo sia vero in assoluto oppure no, poco importa! finché succede a me è più che sufficiente a farmene scrivere. Un consiglio.... provate, anche a farvi fotografare perchè anche così si impara!

Da notare, nel ritratto sopra, che l'intensità è estrema eppure ci sono quasi tutti gli errori da non fare (mosso, sfocato luci, ecc ecc) meditate quindi sul ruolo della tecnica!

venerdì 21 settembre 2012

sul perché dell'espressione artistica

Prima di affrontare il tema delle dominanti cromatiche e della temperature di colore, volevo dare spazio ad una riflessione che mi assilla da qualche giorno, anche in virtù di ciò che ho scritto relativamente all'ispirazione ed ai contenuti della fotografia. La questione nasce dal motivo stesso per cui scrivo queste pagine, ovvero perché le scrivo? Credo che sia per lo stesso motivo per cui fotografo ed espongo le mie fotografie, sia su Deviantart che su Fotocommunity oltre altri generici portali, cioè, di fatto, esibizionismo. In senso buono... potrei anche a spingermi a definirla "necessità di performance artistica", confermando involontariamente l'affermazione che l'arte è prima di tutto comunicazione ed espressione di un'interiorità che a volte si sente il bisogno di esternare. Non è detto che ci si riesca, anzi, come ho già sostenuto i risultati sono spesso di poco conto, ma questo non vuol dire che non dobbiamo provarci; generalmente qualsiasi espressione "artistica", a parte forse l'architettura, possiede la caratteristica di essere discreta, di non imporre la propria presenza, di non ostentare se stessa se non a chi ha voglia di accoglierla. Nessuno ci obbliga a leggere un libro ne tantomeno un blog, ne a vedere un film ne una foto. addirittura, se per caso affrontiamo la visione di un film che non ci piace, o di un libro non adatto al nostro momento, abbiamo piena libertà di andarcene o smettere di leggere. Si potrebbe quindi affermare che l'oggetto dell'arte, ha più una valenza liberatoria per l'artista che per chi lo riceve, uno sfogo che forse nessuno ascolterà mai. 
Qui si apre un altro tema: il consenso. La necessità di dimostrare il nostro valore, che in fotografia è, specialmente agli inizi, di carattere tecnico, ci porta velocemente a snaturare il nostro sentire (o meglio "vedere") per accomodarci nella riproduzione di un qualcosa che appaghi non tanto noi, quanto il nostro pubblico. Niente di sbagliato, anzi... se ci viene commissionato qualcosa, un ritratto, un matrimonio, è il committente/soggetto che deve essere soddisfatto, cosa che fino ad un certo punto rende lecito anche il ritocco "pesante"; ma se vogliamo esprimere noi stessi è giusto inseguire la moda? Realizzare immagini omologate per accumulare i "mi piace"? dove siamo "noi" in una simile operazione? Certo è tutto più facile, spesso lo faccio anch'io, ma poi mi deprimo, e perdo stimolo, non fotografo per mesi fino a che qualcosa non riaccende quella scintilla che latente mi porto dentro da ormai tanti anni. Vorrei arrivare a dire che non è necessario fare 150 foto ogni domenica e 500 vacanza... oppure fotografare qualsiasi manifestazione folcloristica o evento paesano che ci venga in mente, a meno che qualcosa non vi solletichi la bocca dello stomaco. Riprendiamoci, se non diversamente obbligati, la dimensione personale della performance senza essere schiavi dei temi vuoti imposti dalle riviste di settore e dei tecnicismi inutili proposti dai produttori di fotocamere a meno che questi non siano la nostra vera ispirazione!



mercoledì 19 settembre 2012

Regole di composizione

A questo punto, dovremmo essere maturi per comprendere che, data per scontata la tecnica, la quale a parità di intelletto ed esperienza viene raggiunta e padroneggiata da tutti nella medesima maniera, ciò che differenzia l'opera di un fotografo da un altro è la capacità di "vedere" e di "comporre" l'immagine. Purtroppo vedere è soggettivo, dipende dalla nostra cultura, dalla personale sensibilità, dall'esperienza del vissuto, dalla capacità di emozionarsi... nessuno lo può insegnare. La capacità di vedere l'abbiamo a fasi alterne... è l'ispirazione, cioè quel particolare stato d'animo che ci consente di filtrare la realtà in modo da estrarne la componente emotiva. dopo di che c'è la capacità di raccontare! E' la capacità dialettica trasposta sull'immagine, la scelta delle parole, delle pause del tono della voce, del non dire proprio tutto ma lasciare alla immaginazione di chi ci ascolta,  mettere la propria personale emozione nell'immaginare la scenografia del racconto. Ma come si può fare questo con la fotografia? L'unica cosa che mi viene in mente, dopo tanti anni di prove, è la composizione, ovvero quell'innato senso del saper posizionare le varie componenti dell'immagine in modo da dare "equilibrio"... di guidare l'occhio di chi guarda attraverso la fotografia in modo che non si perda in un mare di insulsi particolari, ma seguendo un percorso trasmetta quell'emozione che noi abbiamo provato al momento dello scatto. Ci sono delle regole in tutto ciò? Certo, qualcuno le ha codificate... terzi medi, spirali, triangoli, contrasto cromatico ecc. ecc. ma è un po come leggere un libro sulle tecniche di seduzione, generalmente i risultati sono grotteschi. Certe regole servono, specialmente all'inizio per non ottenere immagini troppo banali, ad esempio abituarsi ad usare anche lo scatto in verticale, specie nei ritratti, e magari spostare ad un terzo del fotogramma la parte principale del soggetto... ricordiamo che un'immagine si legge prevalentemente la sinistra verso destra, mettiamo un po' di attenzione nella profondità di campo, impedendo al secondo piano di mascherare il soggetto! siamo già avanti... ma non basta. le nostre foto saranno migliori, ma salvo capacità innate, comunque banali. Non è un male assoluto! Quante volte vi è capitato per le mani un libro noioso o scontato e quante canzoni inascoltabili esistono al mondo! non tutti hanno qualcosa da dire in campo artistico e non per questo sono persone peggiori. Non è comunque il caso di perdersi d'animo! (almeno non per sempre!) Applicandosi, studiando, provando, si possono ottenere con fatica dei risultati simili a quelli che altri ottengono per benevolenza della natura. Non saremo artisti ma ottimi artigiani, e poi chissà che un giorno il nostro cuore non si apra regalandoci una memorabile collezione!
Quindi il compito a casa per preparare chi, come me, non ha avuto la fortuna di possedere la sensibilità dell'artista, è il seguente: prendete delle composizioni di oggetti o anche singoli oggetti e realizzate una serie di fotografie per ognuno di essi, cercando di fare una foto triste, una serena, una allegra, una malinconica ecc ecc ma dello stesso soggetto! Oppure prendete un oggetto... un frutto, qualcosa di vostro e fotografatelo in modo da sentirne la materia al tatto, o l'odore, oppure prendete una cosa triste e rendetela allegra. spostate l'oggetto nell'immagine: da destra a sinistra, in alto o in basso, illuminatelo di più o di meno provate in bianco e nero o a colori, o in macro.... tutto quello che si può fino alla noia! Imparate a gestire le emozioni nelle immagini, anche se non sono le vostre ma le avete prese da un elenco. Così di fronte a qualcosa che non vi dice niente (a meno che non siate artisti) potrete immaginare cosa proverebbe un artista e simulare le di lui/lei emozioni mettendole nello scatto! A riuscirci avrete fatto già un grande cammino!

Memento... immagine direi triste!


sabato 15 settembre 2012

Ancora il Soggetto

Una Citazione dal film "anonymous"... L'arte è politica, se non c'è politica allora è solo decorazione!
Questa affermazione è in parte condivisibile, o forse del tutto ma incompleta...
La mia riflessione viene dal fatto che per dare un senso alle mie azioni (fotografiche), ho formulato il pensiero che l'arte fosse  principalmente "comunicazione", estesa però alla sfera emozionale di chi racconta. Il fatto che un'immagine (relativamente al nostro caso) sia "politica" penso non sia un aspetto limitato al soggetto ripreso, ma all'interpretazione che a questo dà il fotografo. Fotografare un uomo al lavoro non significa creare un'immagine a sfondo sociale, ma lo è quando la fotografia è la trascrizione non del soggetto in quanto tale, ma dell'emozione che questo ci trasmette; in alternativa non è arte ma una attestazione del fatto che quell'uomo sta lavorando.
Questo sposta l'ago della bilancia nella valutazione dell'immagine da parte di terzi, ovvero, se l'interpretazione e l'emozione del fotografo non sono evidenti è il soggetto che assume importanza e l'immagine diventa l'archiviazione di un istante trascorso. 
Un esempio per comprendere meglio quello che comunque vi ricordo essere un mio personale pensiero, può essere il confronto tra un nudo, ad esempio di Mapplethorpe (http://www.mapplethorpe.org/portfolios/male-nudes/?i=5) e una foto da calendario, di quelle da autoricambi per intenderci... il soggetto è spesso il medesimo, ma in un caso si è attirati dal complessivo dell'immagine, dalla composizione dalle luci e dalle ombre, dalla provocazione espressa dal soggetto dove difficilmente si ravvede volgarità... nell'altro si va subito a vedere il "particolare", la foto nel complesso, se pur tecnicamente ben realizzata, non esiste: Se la modella è brutta, la foto non ha significato! Se proviamo a guardare le opere di  Jan Saudek possiamo renderci perfettamente conto della preponderante importanza del fotografo nei confronti del soggetto, o meglio, il soggetto "è" l'interpretazione di Saudek della realtà oggettiva che gli sta di fronte.
Per questo generalmente mi turbano i concorsi a tema... come si può scattare a comando? è più facile trovare in archivio una foto adatta al tema, perché e nata in un momento che il soggetto ci ha trasmesso qualcosa, sennò perché mai lo avremmo fotografato?
Ormai sono anni che mi propongo per ritrarre amici e conoscenti, sentendomi sempre opporre il rifiuto motivato dalla presunta imperfezione del momento, dall'età che non è più adeguata, dal fatto che "ah io vengo sempre male". Temiamo quell'imperfezione che nelle foto di Saudek è soggetto (ovviamente nelle sue foto assolutamente estremizzata). Il ritratto della persona comune, tornando al titolo, non è politically correct, ci mette presuntuosamente a confronto con un mondo patinato del quale non siamo all'altezza, il ritratto di famiglia o personale, come si faceva "una volta" e che potrebbe un giorno riportarci all'emozione del momento in cui lo abbiamo realizzato, non si può più fare; vuol dire che la grande opera politica e sociale realizzata da August Sander "Uomini del XX secolo", rimarrà unica e della nostra era rimarranno solo immagini di modelle filiformi, labbroni siliconati e  fronti botulate.

Compito a casa: cercare con google, che gentilmente ci ospita, e analizzare con cura ed emozione, tutte le foto di Mapplethorpe, Saudek e Sander.

domenica 19 agosto 2012

...invece il mio cellulare fa foto bellissime!

Infatti, ormai il più delle foto sono fatte con il telefono, con l'aggiunta automatica di texture antichizzanti, con una bella dominante calda o al più applicando un cross process che tutti usano senza neanche sapere cos'è, tanto lo fa il telefono. Però questo da una parte è confortante, se è vero che l'ignoto spaventa, cosa c'è di meglio che continuare a vedere le solite cose e ancora meglio noi stessi?!  #picoftheday et voilà! Ma c'è di meglio, o di peggio non so... il livello della percezione critica inesistente, si citano cose che non si conoscono, la tecnica è dimenticata, la composizione inutile. Le regole disattese da chi le conosce costituiscono un punto di rottura o un momento creativo, ma le regole non applicate perché non le si conoscono sono solo errori; e c'è di più... il primo che le disattende crea, il secondo copia e considerato che il tramite e meccanico, la copia non ha nulla di originale, ma è solo una banalità. Per fortuna il non sapere dei più, dell'esistenza dell'originale, dona alla copia il riflesso della gloria delle idee di un altro. E il pubblico apprezza. Fantastico! è come barare quando si fa il solitario o doparsi in uno sport di quelli che non ti fanno diventare ricco, vivendo il resto della propria vita sapendo che la nostra vita è un imbroglio.
Ho trovato, girando in rete, copie di qualsiasi cosa... ultimamente seguo un fotografo statunitense di cui apprezzo la semplicità delle composizioni, gli sfondi spesso digitali e la postproduzione... questo ha una firma abbastanza particolare che entra a far parte della composizione, ebbene, ho trovato anche la copia della firma! ovviamente su fotografie la cui matrice è identica alle sue!

Eppure, a volte, la soluzione a certi problemi è semplice, e non serve una texture a coprire i difetti! Ad esempio ci piacerebbe fotografare qualcuno senza deformarlo? Allora la regoletta dice:
per un primissimo piano (solo il faccione per intenderci) ci vuole come minimo una lunghezza focale di 105 o tanticchia in più, sennò il naso, per una odiosa regola matematica diventa molto più grande del resto della faccia! eh però non ci sta tutta la faccia nell'inquadratura  col 105!!! ebbene la soluzione c'è ed è alla portata di quasi tutti, a meno che non stiamo fotografandoci da soli con la faccia da bacio utilizzando il cellulare. basta fare due passi indietro, et voilà! M allora perché comprare uno zoom se poi mi tocca camminare? 
c'è anche un altro paio di cosette da sapere... se fotografiamo un soggetto che abbia sopravanzato l'età di 12/13 anni, è probabile che cominci ad esserci qualche segnetto sulla pelle... brufoletti, cicatrici (la varicella ahime!), qualche ruga... insomma, sarebbe meglio aprire bene il diaframma, mettendo a fuoco gli occhi, così tutta la fotografia apparirà più morbida, e già che ci siamo sovraesponiamo di uno stop rispetto a quello che ci dice l'esposimetro. Eh ma quante cose...! tre in tutto: lunghezza focale diaframma e sovraesposizione! così passiamo qualche ora in meno davanti a photoshop, e una volta capito cosa si deve fare possiamo anche trasgredire e/o creare, reimmergendoci nella massa, ma consapevolmente. Poter scegliere dà una grande soddisfazione e aumenta l'autostima!



mercoledì 15 agosto 2012

... la luce era diversa, la macchina fa schifo!

In effetti può succedere, affidandosi all'elettronica, di trovarsi in mano uno scatto fatto al tramonto praticamente identico ad uno realizzato a mezzogiorno, o a un bel ritratto dove è a fuoco solo un enorme naso, o ancora tutto irrimediabilmente mosso o con tonalità verde! Pazienza, ormai il momento è andato e a noi non rimane che raccontare con commozione com'era bello il posto spiegando a monitor su scatti banali, che cosa avremmo cercato di fotografare! Una volta c'erano le diapositive e al buio si poteva dormire... bastava ogni tanto grugnire per manifestare attenzione. Ora fortunatamente queste "cose" vengono postate su Facebook, e ci è sufficiente mettere un "mi piace" senza sforzarci di guardare nulla!
Ma mettiamo il caso che volessimo evitare di perdere tanti ricordi... dove abbiamo sbagliato?
Il bello della faccenda è che non abbiamo sbagliato niente! la macchina da sola ha scelto tutti i parametri (diaframma, tempo di scatto, bilanciamento del bianco, punto di messa fuoco, ecc.) per ottenere una foto standard, a meno che non gli abbiamo impostato un preset apposito per la situazione in atto!
I toni caldi del tramonto, vengono interpretati come una dominante cromatica e corretti in automatico "raffreddando" il sensore, e così la penombra del tramonto viene sovraesposta per dare una luce ordinaria... la messa a fuoco a trentamilionidipuntionderati andrà a cercare il punto più vicino nell'inquadratura, ma se per caso la luce non è sufficiente, abbinando il punto scelto, con il diaframma aperto, tutta la foto apparirà sfocata e magari pure mossa!
Considerate le poche cose tecniche che servono a realizzare uno scatto decoroso, e per di più, che qualsiasi rivista di settore, nell'arco di uno o due anni chiude ciclicamente tutti gli argomenti necessari, e ancora, che gli stessi sono riportati in un qualsiasi manuale di fotografia, meglio se degli anni 70, così c'è solo quello che serve sapere... considerato tutto questo quindi, torno a ripetere, che fino a che non si è appresa la tecnica, la cosa migliore sarebbe avere una buona macchina, con un bel mirino e basta!
Non è proprio vero... ci vogliono:
1) tre obbiettivi fissi per cominciare: un bel 24 mm, un 50 e  un mediotele, direi un 105. per anni ho fatto quasi tutto con questi, poi ho sostituito il 50 con un 35 che personalmente mi dava maggiori soddisfazioni.
2) un cavalletto, o anche un monopiede. non c'è niente di meglio per aiutarci a studiare la composizione che  aiutarsi col cavalletto. non serve che sia enorme, basta che sia stabile e proporzionato al peso della macchina! Un consiglio: con la macchina sul cavalletto è bene usare l'autoscatto per tutti gli scatti... le foto vengono più ferme e nitide!
3) un filtro polarizzatore, il cui effetto è l'unico che non possiamo riprodurre in posproduzione. (cosa fa cercatevelo con Google!)

Con queste poche cose, dovendo imparare, consiglierei di cominciare a scattare in manuale e in bianco e nero. Per il B/N impostiamo già la macchina se ce lo consente, perchè è l'unico modo per apprendere, senza distrazioni, la corretta esposizione ed il contrasto cromatico. Poi, uscite apposta per fotografare, o da soli o con altri fotografi, non c'è niente di peggio di un rompiballe che vi fa fretta, cercando soggetti che siano ripetibili nel tempo... architetture, scorci urbani, paesaggi, anche se non fossero la vostra aspirazione serve per imparare! portatevi dietro un blocco notes, dove appuntarvi non i dati tecnici, che comunque rileggerete sui metadati, ma quali fossero le vostre intenzioni al momento dello scatto: soggetto, sensazioni, luce, atmosfera... a volte ci si dimentica perché si è scattato, in modo particolare all'inizio quando spesso le cose sono diverse da come ce le saremmo aspettate.
Tornate poi a rifare gli scatti che non vi hanno dato soddisfazione, provando a cambiare inquadratura, profondità di campo, orario dello scatto e quindi luci ed ombre. rifate gli stessi scatti fino a che non sarete soddisfatti. Questo è un esercizio eccellente, perché vi consente di provare, sperimentare e verificare, fissando tutto nella memoria, ed inoltre dovrebbe aumentare la vostra capacità narrativa e compositiva.
Poi, passeremo al colore, ed ai nuovi problemi...

sabato 4 agosto 2012

A, T, P e presets


Abbiamo parlato di esposizione e di profondità di campo, di come queste possano determinare il risultato finale dell’immagine anche in termini di comunicazione e di composizione, ma di fatto, quali strumenti abbiamo per controllare questi parametri? Abbiamo anche gia detto, che meccanicamente, gli unici due parametri modificabili sono: il tempo di esposizione ed il diaframma, e che gli stessi possono essere modificati a step che generalmente dimezzano o raddoppiano i tempi o la luce  che passa dall’obbiettivo. Di fatto questi sono veramente gli unici due parametri da controllare. Ma allora perché le varie fotocamere  vengono proposte con migliaia di presets diversi, con una pletora di diverse impostazioni, le quali comprendono ogni possibile permutazione dei fattori ambientati del globo terracqueo?
Mi sentirei di dire per fattori di mercato, ma anche per offrire magari una maggiore comodità a chi, bontà sua, non ha nessuna voglia né necessità di apprendere l’arte della fotografia.
Tornando indietro di qualche decennio, ci accorgiamo che sulla macchina fotografica erano presenti due selettori: quello dei tempi, sul corpo macchina e quello dei diaframmi sull’obbiettivo. Erano assolutamente sufficienti per fare esattamente quello che si fa adesso, solo che era necessario che il fotografo, guardando nell’obbiettivo, si accollasse l’onere di girare entrambi i selettori per determinare l’esposizione corretta! Quanta fatica, per non parlare degli errori, che poi erano visibili solo dopo lo sviluppo della pellicola… con l’avvento dell’elettronica (ma parliamo credo degli anni 70 del secolo scorso) le case produttrici hanno inserito diverse modalità di scatto utili a semplificare il lavoro dei fotografi, minimizzando anche la possibilità di errori grossolani di esposizione. Sono comparse quindi le modalità “A” e “T”, vediamo di cosa si tratta. La definizione corretta è modalità a “priorità di Diaframmi” in modo “A” e “priorità di tempi” in modo T, ovvero, assodato che l’esposizione corretta è data da una coppia tempo diaframma, in base a quanto misurato dall’esposimetro, allora in modalità priorità di Diaframmi, il fotografo decide il diaframma impostandolo a suo piacimento e la macchina, in automatico decide il corretto tempo di scatto, viceversa in modalità priorità di tempi. Niente di trascendentale, si tratta di matematica. Perché “priorità” perché spesso è importante, a livello compositivo controllare la profondità di campo, ed allora saremo noi ad impostare i diaframmi, in particolare nei ritratti o  nel paesaggio, i tempi di scatto saranno impostati di conseguenza dalla macchina fotografica. Nel caso invece di foto sportive, caccia fotografica ed altro, probabilmente sarà più importante decidere un tempo rapido, oppure lento se vogliamo un mosso creativo… il diaframma sarà secondario!
Forse queste due modalità di scatto sarebbero sufficienti a coprire tutte le necessità di un fotografo avanzato, ma se vogliamo rendere obsolete le vecchie macchine e riaprire il mercato, è importante inserire il “p” che sta per program, modalità nella quale è la macchina a decidere tutto tranne che l’inquadratura, un sistema che va bene per tutto e per niente, infatti per dargli maggior efficacia vengono introdotti i “presets” con tutte le possibili modalità in cui in modo grafico decidiamo se dare priorità ai tempi o ai diaframmi scegliendo direttamente il modo ritratto, macro, paesaggio, neve ecc. ecc.
Chi ha usato tre volte una reflex non userà mai più i presets, che invece trovano largo utilizzo nelle compatte dove l’utente medio non è interessato a perdere tempo a studiare le regole della fotografia, aggiungerei a buon diritto.
Pensando però in questa sede di rivolgermi ad appassionati o futuri tali, io consiglierei di non perdere tempo a valutare inutili ammennicoli tecnologici, ma verificare ad esempio che la macchina che acquistate abbia la possibilità di impostare rapidamente una sovra o sottoesposizione da utilizzare in combinata con la modalità a priorità di diaframmi, e che sia comodo cambiare i parametri in manuale, perché spesso la modifica dei tempi o dei diaframmi, necessita di combinazioni di tasti tali da farvi allontanare il mirino dagli occhi perdendo preziose inquadrature. La modalità manuale è sostanziale in quasi tutte le situazioni poco al di fuori della norma… chiese, foto di teatro, macro, riproduzioni, ecc ecc ovvero per tutte le situazioni di luce non standard dove occorre il controllo della situazione.

mercoledì 22 febbraio 2012

Soggetto, Dof o Pdc doh!


Cos'è che fotografiamo? Qual'è la parte di realtà che ci coinvolge emotivamente così tanto da farci sentire la necessità di scattare... di tramandare la nostra personale emozione? A parte il riprodurre copie di altre foto che abbiamo già visto, l'ispiratore del nostro argomentare è il soggetto. Non esiste una fotografia che possa dirsi tale (a meno di avanguardie che ne neghino esplicitamente l'esistenza) dove non compaia il soggetto! Il problema è proprio questo, il soggetto spesso non compare, un po' perché ciò che ci ha colpito della scena è la somiglianza di un qualcos'altro già visto, per cui il soggetto è solo nella nostra testa, la foto risulta come un film senza trama. In altri casi c'è, ma non siamo capaci a metterlo in evidenza per tutta una serie di motivi tecnici e compositivi... 
Continuo a ricordare le parole di Adams... le fotografie sono come le barzellette: se le devi spiegare vuol dire che sono venute male!
Quand'è quindi che una foto "viene male", quando il soggetto che ci eravamo prefissati di immortalare, è confuso o del tutto assente, nascosto nello sfondo, invisibile per imperizia tecnica, inefficace nella composizione e nella narrazione!
Ci sono delle "regole" e degli "artifizi tecnici" che ci aiutano nella narrazione, nel raccontare la nostra emozione dando una chiave di lettura univoca (o prevalente) ai nostri scatti, ma prima di tutto è necessario che al momento dello scatto ci poniamo una domanda ben precisa: "cosa stiamo fotografando?" 
Detta così sembra assolutamente banale, ma spesso fotografiamo un contesto nella speranza che nello scatto, come per magia, ricompaia quell'atmosfera o quella sensazione che ci ha ispirato. quante delusioni! Ma proviamo a capire: immaginiamo uno scorcio di campagna a primavera, un prato normale, non curato, con tanti fiori ma piccoli, selvatici... il profumo di qualche albero vicino, chissà quale, poi spesso gli odori più intensi arrivano da essenze esteticamente anonime...la luce calda e magari un alito di vento, il rumore di acqua che scorre. seduti su un sasso divoriamo una focaccia con la mortadella e il profumo ci entra nel naso regalandoci un ineguagliabile appagamento sensoriale! ci vuole una foto per ricordare! evviva! scattiamo e portiamo a casa un prato anonimo per poi spiegare agli amici, torturati con l'imposizione della visione delle foto delle vacanze, che il prato sembra così tutto uguale, ma in realtà i verdi erano tanti, stranamente l'occhio ne coglie di più... (mah!... con quello che ho pagato la macchina!) poi c'erano un sacco di fiorellini, ma sono piccoli e non si vedono, il cielo era di un bell'azzurro tenue e pastellato, purtroppo è venuto bianco e bruciato e se abbiamo una nota marca di fotocamere, anche con un'orrida dominante magenta, poi la in fondo c'era il ruscello, ma di qua non si vede, e il gusto della mortadella è solo un vago ricordo in fondo al nostro cuore! 
I soggetti erano tanti: i fiori, il ruscello la luce calda, i verdi del prato, la focaccia... noi non ne abbiamo scelto nemmeno uno, e dato che il mezzo tecnico è limitato per scelta sua ci siamo portati a casa niente. Attenzione che spesso, anche se a malincuore, dobbiamo essere consci del fatto che "questa foto non s'ha da fare" perchè è tecnicamente impossibile (salvo pensarla con grande lungimiranza gia aperta su photoshop, con le idee molto chiare sulla postproduzione!).
Viceversa, se ci prendiamo la responsabilita delle nostre scelte, ed abbiamo le conoscenze tecniche per realizzarle, qualcosa di buono lo si porta sempre a casa.
Le armi a nostra disposizione, oltre ovviamente alla corretta esposizione, sono: la profondità di campo e la composizione. Tralascerei per il momento la composizione, per la quale occorrerebbe forse un'intero manuale che comprenda le regole, il modo di negarle, e la restaurazione delle stesse in opposizione alla precedente negazione, parlando per pochi istanti della profondità di campo (pdc) che è una semplice legge dell'ottica. In inglese la troverete su trattati e manuali come Dept of Field (dof). Ricordate quando parlando delle coppie tempo diaframma nell'esposizione scrissi che erano indifferenti fatto salvo necessità di composizione? ebbene ci siamo arrivati. Posso ottenere la medesima esposizione variando tempi e diaframmi in direzione opposta, quindi la luminosità della foto sarà "indifferente", ma all'aumentare dell'apertura del diaframma (andando cioè verso i numeri più piccoli) varierà la  porzione di immagine a fuoco. Questa capacità dell'obbiettivo di mettere a fuoco solo una parte della realtà davanti e dietro al soggetto si chiama appunto "profondità di campo".
Le due immagini seguenti servono per rendere giustizia al concetto descritto! 
f22, Profondità di Campo elevata

f4.5 profondità di campo scarsa.. avrei potuto aprire fino a 1.4
ma in questo caso  ho preferito che lo sfondo fosse ancora leggibile!

Ricordiamo  la successiva serie di concetti fondamentali per chiunque voglia realizzare qualcosa di buono:
1) per isolare un soggetto, lo si mette a fuoco e si apre al massimo il diaframma per sfocare il contesto (generalmente tutto ciò che gli sta dietro)ovvero occorre scegliere diaframmi 2,8 2 o anche meno, questo vale soprattutto per i ritratti. Va da se che se il nostro obbiettivo ha un'apertura minima di 5,6 l'effetto sfocato ce lo scordiamo
2) per fotografare un paesaggio è meglio chiudere il diaframma per mantenere una buona nitidezza complessiva. tutti gli obbiettivi arrivano almeno a f22, ma non sempre l'estremo è la scelta più adatta.
3) la qualità dello sfocato (bokeh) dipende dalla quantità di lamelle del diaframma: più sono e meglio è
4) la quantità dello sfocato è direttamente proporzionale alla focale dell'obbiettivo, ovvero un 200mm f2,8 sfocherà molto di più di un 24mm f2.8

5) purtroppo la qualità dell'obbiettivo è proporzionata (ed a volte sproporzionata) rispetto al prezzo dello stesso: con diaframmi molto aperti gli obbiettivi scarsi presentano gravi problemi di vignettatura (angoli più bui del centro) e di fringe (bordi molto contrastati con dominanti blu o rosse), chiudendo il diaframma il problema si attenua ma poi si ripresenta con diaframmi molto chiusi. In certi casi lo spessore delle lamelle, con diaframmi oltre f22 diventa significativo per le riflessioni su di esso e le immagini risultano impastate. Normalmente le ottiche sono ottimizzate per lavorare a f8 / f11, per cui se ci serve nitidezza occorre impostare questi due valori. Ci sono obbiettivi (io ad esempio ho un 70-200 di quelli bianchi), che sono quasi perfetti a tutte le focali, sono realizzati con lenti asferiche, vetri a bassa dispersione, e concepiti per una resa "apocromatica" ovvero ottimizzati affinché la messa a fuoco delle lunghezze d'onda fondamentali della luce avvenga su un unico piano. Qua la questione è quasi esoterica, nel bianco e nero su pellicola, quest'ultimo problema era poco significativo, con le pellicole a colori, i dei tre strati di emulsione erano sovrapposti in modo da minimizzare il problema; col sensore che è assolutamente complanare, il problema è nuovamente sensibile!
6) le ottiche fisse sono (salvo rare eccezioni) enormemente migliori degli zoom in termini di qualità, ma ormai siamo abituati ad avere tutto e subito e cambiare obbiettivo o fare un passo avanti o indietro, ci procura disagio e quindi un bel 18-600 f8:f16 (che sono le aperture minime alle due focali estreme), il quale avrà probabilmente la stessa qualità del fondo in vetro di un'albanella di acciughe sotto sale, appagherà la nostra pigrizia livellando molto in basso il senso critico!


Detto questo ci rendiamo conto che la nostra possibilità di scelta è estesa a due differenti momenti: il primo è quando mettiamo mano al portafoglio per acquistare l'attrezzatura, il secondo è nelle scelte tecniche che adottiamo in ogni singolo scatto.
nell'acquisto non fidatevi di nessuno: provate macchine e ottiche: i parametri di valutazione delle riviste sono oggettivi e scientifici, ma un'ottica o un sensore tecnologicamente eccellenti potrebbero non soddisfare il nostro gusto personale in termini cromatici e di nitidezza! In bocca al lupo!

sabato 7 gennaio 2012

Ispirazione e soggetto!


Ecco che nell’ultimo post torno a dire ciò che ho detto nel primo, ovvero che perseguire la tecnica allontana dal contenuto a tal punto che la tecnica stessa diventa il soggetto. Ma quindi cos’è il soggetto e cos’è che ci spinge a fotografare proprio quell’istante quella determinata cosa? Ovviamente da questo ragionamento è esclusa tutta la fotografia commerciale, quella realizzata su commissione… i matrimoni, le pubblicità ecc. che pur avendo spesso accessi artistici, hanno comunque un soggetto predeterminato da un contratto giustappunto commerciale. Parlo invece della fotografia amatoriale o artistica, quella spontanea che nasce dalla volontà personale di trasferire la realtà in un fotogramma. Ho conosciuto molti fotografi e fotoamatori, e devo dire che difficilmente sono riuscito ad individuare i motivi che li spingevano e tuttora in molti casi spingono, a scegliere il soggetto delle loro immagini.
Sono identificabili varie tipologie ricorrenti:
  •  Gli archivisti: la categoria forse più ricorrente, fotografano tutto. Io ad esempio spesso non fotografo i monumenti o certe emergenze note a meno che non veda qualcosa che mi colpisce e diverso da quello che trovo sulla guida turistica, sennò compro la guida. Forse il motivo è dimostrare di esserci stati… a volte ho avuto la sensazione che sia per rimandare le proprie emozioni: il viaggio è faticoso, segnato da tappe forzate, soggetto a ritmi da miniera… allora si fotografa tutto per avere poi a casa il tempo di godersi le cose, forse.
  • Gli insoddisfatti (in parte anch’io) quasi tutte le foto rimangono nel cassetto, o prima anche sulla pellicola, ora su HD, c’è sempre qualcosa che non va. Non è detto che sia nella fotografia… può anche darsi che sia la realtà che ha sempre qualcosa che ci da fastidio, sia estetico che psicologico. Personalmente mi infastidisce fare le fotografie dove si vedono cassonetti, cavi, macchine… quasi tutto ciò che è nel nostro quotidiano. Alla lunga non si fotografa più quasi nulla 
  • La conseguenza al 2 sono quelli che girano sempre con la fotocamera e non fotografano proprio più niente, pochissime immagini all’anno. In fondo credo sia un atteggiamento coerente… se vogliamo considerare la fotografia una forma d’arte, occorre che esista l’ispirazione. Se manca, l’immagine prodotta probabilmente sarà un inutile esercizio di stile. Rimane l’acquisto compulsivo! Chi non scatta proprio più ha spesso al collo una macchina equiparabile ad un gioiello
  • Al contrario esistono gli entusiasti, che spesso sono anche esibizionisti. L’ispirazione è vedere se stessi nell’atto creativo fotografando la verza al mercato, che potrebbero comprare e fotografare comodamente a casa, o anche no, tanto della foto di una verza da dopo Weston, non gli ne frega una mazza a nessuno. Questo particolare fotografo si riconosce perché è estraneo alla realtà che lo circonda, è li in una dimensione parallela dalla quale ci esplora, artista noncurante delle persone intento a trasmettere ai posteri quell’attimo irripetibile nella vita di una verzura soggetta ad inevitabile decadimento o ingestione.


In genere, la categoria che produce le cose migliori è quella formata dagli “emotivi” raggruppati come in una cerchia dantesca in tristi e felici. Chi è triste trae dalla malinconia un enorme patrimonio di ispirazione che ben si fonde con la realtà. I felici (che spesso però sono tristi camuffati) capaci di percepire la tristezza, la evitano creando immagini serene e bilanciate che travalicano il senso principale (la vista) trasmettendo un’emozione complessiva.

Quest’ultimo è un po’ il punto al qual spesso mi piacerebbe saper arrivare. Ciò che spesso non si coglie se si fa parte degli “insoddisfatti” è che il problema non è tecnico ma emotivo, e anche gli archivisti soffrono del difetto di memoria della fotografia, ovvero di riproporre un’immagine, ma al momento dello scatto tutti i nostri sensi erano coinvolti. Il nostro stato d’animo, quella particolare atmosfera che ci ha fatto pensare “ora faccio una foto” era il frutto di una concomitanza di input visivi, olfattivi, suoni e rumori, caldo freddo vento, fame sete, tutto concentrato in un millesimo di secondo in cui decidiamo di premere il pulsante di scatto. Credo che il segreto sia qui da qualche parte. Qualcuno ci riesce, vedendo un’immagine di evocano odori, sapori e sensazioni che vanno al di là dell’immagine. Non vi è capitato di sapere che proprio lì dovevate fare una foto perché c’era qualcosa di straordinario, ma non sapere esattamente cosa fotografare, non capire quale fosse il soggetto di quell’emozione che stavate provando. Poi scattate e riguardando la foto vi sembra un altro posto… non c’è niente di quello che ricordate. Non so di preciso come sia possibile, credo sia la “composizione” a rendere il soggetto così evidente a farlo immaginare oltre il visibile. Certo ci vuole tecnica, mezzi, ma soprattutto sensibilità, solo che purtroppo, e lo dico anche per me, la tecnica si impara, i mezzi si comprano ma la sensibilità…. Forse è in quest’inezia la differenza tra un ottimo artigiano e un artista, qualunque sia la forma espressiva scelta.

mercoledì 4 gennaio 2012

Strada o Accademia?


A volte mi sorprendo a parlare di cose che tecnicamente ho dimenticato. Ma se ne parlo! Infatti il dubbio che mi assale è questo: le ho veramente dimenticate o le applico inconsciamente? Fanno parte di un bagaglio tecnico naturale ormai acquisito o la tecnologia acquisita mi permette di ignorare tutto, potendo in postproduzione rifare l’immagine come mi pare? L’ ulteriore è questo: ma se applico una tecnica in post produzione, per ottenere il risultato (in termini compositivi e di illuminazione) significa che non li dimenticati ma solo rimandati, oppure è un modo di salvarsi in angolo quando non abbiamo il risultato?
Mi scopro a dare “buoni” consigli che io stesso non seguo e ad essere condizionato da cose che razionalmente rigetto come i compitini mensili delle riviste o dei corsi di fotografia.
L‘esito e soluzione di tutto questo pensare è una ulteriore domanda: ma la fotografia è per me un fine o un mezzo? Sembra retorico, ma l’aspetto in realtà è pragmatico. Il fine nei miei intenti sarebbe l’archivio e la comunicazione delle mie emozioni riguardo a ciò che mi circonda, utilizzando per renderlo tutto quello che ho a disposizione; ciò che prima facevo in camera oscura e ora al PC fa parte di un processo creativo complesso che utilizza, ormai, diversi mezzi dalla fotocamera al video alla carta alle presentazioni multimediali. E allora perché dico “sarebbe”? perché mi accorgo che a volte il tentativo è quello di ricreare un’immagine già vista, già provata e già a suo tempo scartata perchè non mia, ma frutto di un’educazione visiva e tecnica che inevitabilmente mi porta a spersonalizzarmi per individuare “le Geometrie”, le “cornici”, a scattare sempre in orizzontale perché così è il monitor e ancor prima lo era la tv; a non fare più foto in bianco e nero, perché col digitale mi sembra un falso, un’elaborazione troppo pesante, cosa che invece non è se allo scatto pensiamo già in Bianco e Nero, concedendoci il lusso di togliere alla narrazione ogni forma di distrazione. In sunto, l’immagine prodotta è il fine stesso di tutta l’operazione!
Qual è il problema a questo punto? Che anche chi guarda le immagini gode del mio stesso tipo di educazione e apprezza una serie di parametri che gli garantiscono una certezza estetica gratificante e al tempo stesso riconoscibili è facilmente tollerabile, senza la necessità di intervenire con pericolose interpretazioni. Perché fotografare un banale aspetto del quotidiano in bianco e nero, non serve da desktop, non mi rilassa, ma anche “non lo capisco” perché non è mio, ma è il punto di vista del fotografo che vattelappesca che emozione avrà raccolto da quel banale momento quotidiano.
Quindi la media delle immagini prodotte è ruffiana? Credo di si. Magari non volontariamente ma convergendo verso l’omologazione si ottengono molti più consensi e relative gratificazioni, si vincono i concorsi, si  è pubblicati, si collezionano i “mi piace” sul social network, ma a noi “ci piace?”. Siamo gratificati dal fatto che il nostro fine, al limite coincida con il mezzo tecnico?
Questo comporta che chi è brutto non deve essere fotografato, se non per scherno o denuncia; se non sono bello non ho diritto ad avere un ritratto? Potranno i posteri sopportare che ho il doppio mento, i capelli bianchi e che magari sono pure invecchiato? Penso anche che alcuni angoli cittadini abbiano il diritto di essere tramandati anche se non c’è niente in loro di particolarmente eccitanti, perché ciò che oggi è banale tra trent’anni sarà quasi storia e magari qualcuno si commuoverà vedendo la finestra di casa sua con i panni stessi in una via senza particolari connotazioni oltre a quella di esistere.
Di contro, mi trovo spesso a guardare le fotografie si Facebook di gente che non conosco, ma non per le persone, ma per il contesto, cerco di capire chi sono dai mobile che appaiono sullo sfondo, dai libri nella libreria, dai vestiti… è un grande patrimonio che si sta riversando in rete, purtroppo senza qualità tecnica, spesso figlio di cellulari, pieno di errori, ma con la dignità di una memoria che non può essere collocata in un’immagine costruita o accademica. In sintesi, mi viene il dubbio che le foto “dotte” rimangano una cosa settaria e chiusa al mondo dei fotografi e dei giudici dei concorsi manieristi, mentre, un domani, verrà considerata fotografia quella fatta col cellulare e postata sul social, perché cruda e reale.