Ecco che nell’ultimo post torno a dire ciò che ho detto nel
primo, ovvero che perseguire la tecnica allontana dal contenuto a tal punto che
la tecnica stessa diventa il soggetto. Ma quindi cos’è il soggetto e cos’è che
ci spinge a fotografare proprio quell’istante quella determinata cosa?
Ovviamente da questo ragionamento è esclusa tutta la fotografia commerciale,
quella realizzata su commissione… i matrimoni, le pubblicità ecc. che pur avendo
spesso accessi artistici, hanno comunque un soggetto predeterminato da un
contratto giustappunto commerciale. Parlo invece della fotografia amatoriale o
artistica, quella spontanea che nasce dalla volontà personale di trasferire la
realtà in un fotogramma. Ho conosciuto molti fotografi e fotoamatori, e devo
dire che difficilmente sono riuscito ad individuare i motivi che li spingevano
e tuttora in molti casi spingono, a scegliere il soggetto delle loro immagini.
Sono identificabili varie tipologie ricorrenti:
- Gli archivisti: la categoria forse più ricorrente, fotografano tutto. Io ad esempio spesso non fotografo i monumenti o certe emergenze note a meno che non veda qualcosa che mi colpisce e diverso da quello che trovo sulla guida turistica, sennò compro la guida. Forse il motivo è dimostrare di esserci stati… a volte ho avuto la sensazione che sia per rimandare le proprie emozioni: il viaggio è faticoso, segnato da tappe forzate, soggetto a ritmi da miniera… allora si fotografa tutto per avere poi a casa il tempo di godersi le cose, forse.
- Gli insoddisfatti (in parte anch’io) quasi tutte le foto rimangono nel cassetto, o prima anche sulla pellicola, ora su HD, c’è sempre qualcosa che non va. Non è detto che sia nella fotografia… può anche darsi che sia la realtà che ha sempre qualcosa che ci da fastidio, sia estetico che psicologico. Personalmente mi infastidisce fare le fotografie dove si vedono cassonetti, cavi, macchine… quasi tutto ciò che è nel nostro quotidiano. Alla lunga non si fotografa più quasi nulla
- La conseguenza al 2 sono quelli che girano sempre con la fotocamera e non fotografano proprio più niente, pochissime immagini all’anno. In fondo credo sia un atteggiamento coerente… se vogliamo considerare la fotografia una forma d’arte, occorre che esista l’ispirazione. Se manca, l’immagine prodotta probabilmente sarà un inutile esercizio di stile. Rimane l’acquisto compulsivo! Chi non scatta proprio più ha spesso al collo una macchina equiparabile ad un gioiello
- Al contrario esistono gli entusiasti, che spesso sono anche esibizionisti. L’ispirazione è vedere se stessi nell’atto creativo fotografando la verza al mercato, che potrebbero comprare e fotografare comodamente a casa, o anche no, tanto della foto di una verza da dopo Weston, non gli ne frega una mazza a nessuno. Questo particolare fotografo si riconosce perché è estraneo alla realtà che lo circonda, è li in una dimensione parallela dalla quale ci esplora, artista noncurante delle persone intento a trasmettere ai posteri quell’attimo irripetibile nella vita di una verzura soggetta ad inevitabile decadimento o ingestione.
In genere, la categoria che produce le cose migliori è
quella formata dagli “emotivi” raggruppati come in una cerchia dantesca in
tristi e felici. Chi è triste trae dalla malinconia un enorme patrimonio di
ispirazione che ben si fonde con la realtà. I felici (che spesso però sono
tristi camuffati) capaci di percepire la tristezza, la evitano creando immagini
serene e bilanciate che travalicano il senso principale (la vista) trasmettendo
un’emozione complessiva.
Quest’ultimo è un po’ il punto al qual spesso mi piacerebbe
saper arrivare. Ciò che spesso non si coglie se si fa parte degli “insoddisfatti”
è che il problema non è tecnico ma emotivo, e anche gli archivisti soffrono del
difetto di memoria della fotografia, ovvero di riproporre un’immagine, ma al
momento dello scatto tutti i nostri sensi erano coinvolti. Il nostro stato d’animo,
quella particolare atmosfera che ci ha fatto pensare “ora faccio una foto” era
il frutto di una concomitanza di input visivi, olfattivi, suoni e rumori, caldo
freddo vento, fame sete, tutto concentrato in un millesimo di secondo in cui
decidiamo di premere il pulsante di scatto. Credo che il segreto sia qui da
qualche parte. Qualcuno ci riesce, vedendo un’immagine di evocano odori, sapori
e sensazioni che vanno al di là dell’immagine. Non vi è capitato di sapere che proprio
lì dovevate fare una foto perché c’era qualcosa di straordinario, ma non sapere
esattamente cosa fotografare, non capire quale fosse il soggetto di quell’emozione
che stavate provando. Poi scattate e riguardando la foto vi sembra un altro posto…
non c’è niente di quello che ricordate. Non so di preciso come sia possibile,
credo sia la “composizione” a rendere il soggetto
così evidente a farlo immaginare oltre il visibile. Certo ci vuole tecnica, mezzi,
ma soprattutto sensibilità, solo che purtroppo, e lo dico anche per me, la
tecnica si impara, i mezzi si comprano ma la sensibilità…. Forse è in quest’inezia
la differenza tra un ottimo artigiano e un artista, qualunque sia la forma
espressiva scelta.