mercoledì 4 gennaio 2012

Strada o Accademia?


A volte mi sorprendo a parlare di cose che tecnicamente ho dimenticato. Ma se ne parlo! Infatti il dubbio che mi assale è questo: le ho veramente dimenticate o le applico inconsciamente? Fanno parte di un bagaglio tecnico naturale ormai acquisito o la tecnologia acquisita mi permette di ignorare tutto, potendo in postproduzione rifare l’immagine come mi pare? L’ ulteriore è questo: ma se applico una tecnica in post produzione, per ottenere il risultato (in termini compositivi e di illuminazione) significa che non li dimenticati ma solo rimandati, oppure è un modo di salvarsi in angolo quando non abbiamo il risultato?
Mi scopro a dare “buoni” consigli che io stesso non seguo e ad essere condizionato da cose che razionalmente rigetto come i compitini mensili delle riviste o dei corsi di fotografia.
L‘esito e soluzione di tutto questo pensare è una ulteriore domanda: ma la fotografia è per me un fine o un mezzo? Sembra retorico, ma l’aspetto in realtà è pragmatico. Il fine nei miei intenti sarebbe l’archivio e la comunicazione delle mie emozioni riguardo a ciò che mi circonda, utilizzando per renderlo tutto quello che ho a disposizione; ciò che prima facevo in camera oscura e ora al PC fa parte di un processo creativo complesso che utilizza, ormai, diversi mezzi dalla fotocamera al video alla carta alle presentazioni multimediali. E allora perché dico “sarebbe”? perché mi accorgo che a volte il tentativo è quello di ricreare un’immagine già vista, già provata e già a suo tempo scartata perchè non mia, ma frutto di un’educazione visiva e tecnica che inevitabilmente mi porta a spersonalizzarmi per individuare “le Geometrie”, le “cornici”, a scattare sempre in orizzontale perché così è il monitor e ancor prima lo era la tv; a non fare più foto in bianco e nero, perché col digitale mi sembra un falso, un’elaborazione troppo pesante, cosa che invece non è se allo scatto pensiamo già in Bianco e Nero, concedendoci il lusso di togliere alla narrazione ogni forma di distrazione. In sunto, l’immagine prodotta è il fine stesso di tutta l’operazione!
Qual è il problema a questo punto? Che anche chi guarda le immagini gode del mio stesso tipo di educazione e apprezza una serie di parametri che gli garantiscono una certezza estetica gratificante e al tempo stesso riconoscibili è facilmente tollerabile, senza la necessità di intervenire con pericolose interpretazioni. Perché fotografare un banale aspetto del quotidiano in bianco e nero, non serve da desktop, non mi rilassa, ma anche “non lo capisco” perché non è mio, ma è il punto di vista del fotografo che vattelappesca che emozione avrà raccolto da quel banale momento quotidiano.
Quindi la media delle immagini prodotte è ruffiana? Credo di si. Magari non volontariamente ma convergendo verso l’omologazione si ottengono molti più consensi e relative gratificazioni, si vincono i concorsi, si  è pubblicati, si collezionano i “mi piace” sul social network, ma a noi “ci piace?”. Siamo gratificati dal fatto che il nostro fine, al limite coincida con il mezzo tecnico?
Questo comporta che chi è brutto non deve essere fotografato, se non per scherno o denuncia; se non sono bello non ho diritto ad avere un ritratto? Potranno i posteri sopportare che ho il doppio mento, i capelli bianchi e che magari sono pure invecchiato? Penso anche che alcuni angoli cittadini abbiano il diritto di essere tramandati anche se non c’è niente in loro di particolarmente eccitanti, perché ciò che oggi è banale tra trent’anni sarà quasi storia e magari qualcuno si commuoverà vedendo la finestra di casa sua con i panni stessi in una via senza particolari connotazioni oltre a quella di esistere.
Di contro, mi trovo spesso a guardare le fotografie si Facebook di gente che non conosco, ma non per le persone, ma per il contesto, cerco di capire chi sono dai mobile che appaiono sullo sfondo, dai libri nella libreria, dai vestiti… è un grande patrimonio che si sta riversando in rete, purtroppo senza qualità tecnica, spesso figlio di cellulari, pieno di errori, ma con la dignità di una memoria che non può essere collocata in un’immagine costruita o accademica. In sintesi, mi viene il dubbio che le foto “dotte” rimangano una cosa settaria e chiusa al mondo dei fotografi e dei giudici dei concorsi manieristi, mentre, un domani, verrà considerata fotografia quella fatta col cellulare e postata sul social, perché cruda e reale.

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