domenica 23 dicembre 2012

Ritratto 2 e altri deliri


"La foto-ritratto è un campo chiuso di forze. Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all'obbiettivo  io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte. In altre parole, azione bizzarra: io non smetto di imitarmi, ed è per questo che ogniqualvolta mi lascio fotografare, io sono immancabilmente sfiorato da una sensazione d’inautenticità, talora d’impostura. Immaginariamente, la Fotografia rappresenta quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero, non sono né un oggetto né un soggetto, ma piuttosto un soggetto che diventa oggetto: in quel momento io vivo una micro-esperienza della morte: io divento veramente spettro."

Il testo che precede è un brano tratto integralmente da "la Camera chiara" di Roland Barthes, un saggio del 1980,scritto e pubblicato poco prima della morte dell'autore. I contenuti possono apparire in certi casi di difficile lettura e non facile interpretazione, come ad esempio l'accenno alla micro-esperienza della morte prima riportata, che non è riferita alla persona (soggetto) ma all'immagine in quanto "imbalsamazione" dello stesso che da soggetto diventa oggetto; la stessa persona ritratta "perde" il controllo della propria immagine la quale da una parte diventa proprietà artistica del fotografo (per legge!) e dall'altra verrà vista ed interpretata con occhi e sentimenti diversi dal pubblico sul quale non si avrà più possibilità di controllo e di replica.

Però l'importanza di questo testo, sta nell'analisi quasi autobiografica del rapporto con la fotografia. Il riconoscimento che all'intero di alcune immagini, qualcosa tocca le corde delle nostre emozioni senza un motivo apparente, ma che attiene alla sfera emozionale di ognuno di noi. Barthes, semiologo, intraprende un viaggio attraverso le immagini che nel corso della sua vita gli hanno procurato particolari emozioni per capire il perché questo avvenisse solo per alcune e non per altre e magari apparentemente meno pretestuose di altre, anche contenute all'interno del medesimo reportage.

Le conclusioni non sono più importanti del percorso effettuato per raggiungerle. Molte delle considerazioni contenute nel testo hanno contribuito a modificare nel tempo il mio modo di vedere (in senso letterale) e di fotografare le cose, e mi hanno spinto a cercare di dare un senso al lavoro che facevo e faccio, il più delle volte portandomi a non fotografare per nulla, piuttosto che fotografare il nulla.

Quello che spesso invece succede alla "fotografia" che perpetua modelli ed immagini sempre uguali e prive in se dell'emozione di chi scatta è ben espresso in "Rumore Bianco"(1985) di Don De Lillo; queste sono le considerazioni di fronte ai turisti che fotografano tutti in fila un monumento:
"trovarsi qui è una sorta di resa spirituale. Vediamo solamente quello che vedono gli altri. Le migliaia di persone che sono state qui in passato, quelle che verranno  in futuro. Abbiamo acconsentito a partecipare ad una percezione collettiva. Ciò da letteralmente colore alla nostra visione. Un'esperienza religiosa, in un certo senso, come ogni forma di turismo! -seguì un ulteriore silenzio- Fotografano il fotografare!"
 La mia interpretazione di questo passaggio è assolutamente tendenziosa e funzionale a ribadire ciò che dico dalle prime pagine di questo blog, anche se a volte in maniera confusa,senza un filo logico preciso... Siamo condizionati da un sovraccarico di immagini, le quali da una parte formano la nostra cultura, dall'altro sono talmente tante, che le prendiamo senza senso critico, e non sapendo più distinguere ci appoggiamo al sentimento comune, fotografando ciò che hanno già fatto o ci propongono altri i quali hanno provato l'esperienza del consenso positivo su qualche soggetto.
Sono anni che vedo foto di donne in lingerie o anche nude in cantieri edili o edifici fatiscenti.... faccio l'architetto, frequento quotidianamente cantieri ed edifici fatiscenti, ma di quell'immagine che comunemente passa, non ho mai trovato traccia nella realtà quotidiana. Speriamo che la crisi dell'edilizia non metta in crisi anche l'immaginario erotico collettivo!





mercoledì 19 dicembre 2012

La magia del ritratto


E nel ritratto dov'è l'arte? non si farebbe meglio a parlare di artigianato? comunque il sapiente posizionamento delle luci, i consigli sulla posa, l'individuazione dell'angolo migliore per valorizzare il volto sono tutte procedure standardizzabili e ripetibili, quindi artigianali per definizione, con qualche licenza interpretativa da parte del fotografo.
E il  make up? il più delle volte il risultato è sbalorditivo... quindi di chi è il merito del risultato? Ma poi lo stesso soggetto fotografato da diversi fotografi come in un workshop o modelsharing, dà risultati a volte opposti! è quindi? dopo il make up si compie un altro atto creativo che per altro è indipendente dalla modella che nel caso citato è sempre la stessa. Certo dobbiamo parlare di fotografi con capacità tecniche paragonabili, ma di diversa personalità.
Probabilmente osserveremo opere compiutamente artistiche ed indifferentemente apprezzabili, ma comunque diverse.
Premettendo che il ritratto è in assoluto il mio genere preferito, vorrei mettere in campo la mia semplicistica e limitata visione della cosa. Tornando ancora una volta ai post precedenti. Il fotografo mette su carta la propria emozione, quella che prova sul set o al momento dello scatto! resta da capire come la cosa si esplicita nel ritratto, dove spesso la composizione è forzata da canoni poco alterabili.
Credo che questa sia una cosa impossibile da spiegare. Bisogna provarla sulla propria pelle ed è un'emozione forte che nasce all'improvviso, a volte non arriva, ma quando si impara ad evocarla non si può smettere di "fare i ritratti". Nasce da una sorta di empatia con il soggetto con il quale si comincia a comunicare con il pensiero; il fotografo scruta attraverso l'obbiettivo in una spietata analisi di ogni minima contrazione muscolare che può ad ogni istante generare un'espressione fantastica... il soggetto si muove come ipnotizzato dal vetro frontale e dai lampi dei flash. La tensione sale e a volte si arriva a fare 7, 8 scatti consecutivi fantastici dove il risultato è la sintesi della condizione emozionale di entrambi. Poi ci si ferma, un controllo agli scatti (ora che si può), due parole cambio scena e si ricomincia con un'altra serie. Ad un certo punto sopravviene quasi una spossatezza emotiva. è il momento di smettere ma l'adrenalina rimarrà alta per qualche ora , fino alla voglia di trovare un altro soggetto, un po' come una droga!

Peter Lindberg (da Facebook fotograficamente)

Questo è abbastanza personale... non tutti manifestano gli stessi interessi, alcuni mettono la propria emozione nella macro, nei fiori e negli insetti, altri nel paesaggio; il risultato è sempre lo stesso, l'archiviazione di un'emozione. Io amo i ritratti, non sempre trovo i soggetti, a volte non scatta la scintilla... ma se sono trent'anni che fotografo è grazie a quello che mi hanno restituito quei pochi ritratti, concordati o rubati, che  ho portato a casa nella mia esperienza.
Parlando con alcune modelle un po' più esperte, si è convenuto che la sensazione è la stessa anche dall'altra parte; che esiste una sorta di soggezione emotiva provocata dall'obbiettivo, che una volta che si è presa la dovuta confidenza diventa irrinunciabile. Ogni lavoro è una sfida con se stessi, nasce un'ansia da prestazione che come in un videogioco, rende questa "pratica" assolutamente addictive!
che tutto questo sia vero in assoluto oppure no, poco importa! finché succede a me è più che sufficiente a farmene scrivere. Un consiglio.... provate, anche a farvi fotografare perchè anche così si impara!

Da notare, nel ritratto sopra, che l'intensità è estrema eppure ci sono quasi tutti gli errori da non fare (mosso, sfocato luci, ecc ecc) meditate quindi sul ruolo della tecnica!